L’industria della pubblicità online sta migrando con sempre maggior intensità verso la native advertising. C’è un acceso dibattito nella comunità del web marketing sulla vera definizione di pubblicità nativa.
Ian Shafer, il CEO di DeepFocus, ad esempio, ritiene che le unità pubblicitarie come le Facebook Sponsored Stories o Pubblicità Premium siano a tutti gli effetti pubblicità nativa, ma la vera pubblicità nativa è rappresentata dai cosiddetti pubbliredazionali.
In un recente convegno sulla pubblicità nativa, è stata definita native advertising anche gli annunci presenti nelle soap opera ed il product placement, in poche parole si tratta di pubblicità nativa qualsiasi tipo di pubblicità in cui il collocamento sembrava essere contestuale.
La definizione di pubblicità nativa
La pubblicità nativa sembra avere origine dal discorso fatto dall’investitore Fred Wilson: non ha usato il termine “pubblicità nativo”, ma ha fatto riferimento alla “monetizzazione nativa” in ambito web ed ha descritto come gli annunci pubblicitari siano una unica ed originale esperienza all’interno di un sito.
Dan Greenberg, CEO di Sharethrough, ha approvato l’idea e ben presto ha promosso la sua visione di “pubblicità nativa”. Greenberg ha posizionato Sharethrough come un leader di mercato per quanto riguarda la Native Advertising.
Sharethrough ha recentemente collaborato con la società di ricerca IPG per la realizzazione di un rapporto ha evidenziato, tra le altre cose, che i consumatori hanno esaminato gli annunci autoctoni il 53% in più di frequente rispetto agli annunci display, e il 32% degli intervistati ha detto che avrebbero condiviso un annuncio di pubblicità nativa con un membro della famiglia.
Questo significa che i consumatori compreranno più prodotti pubblicizzati? La relazione di IPG sostiene un incremento del 18% nelle intenzioni di acquisto relative alla pubblicità nativa rispetto ai banner pubblicitari tradizionali. Cristina Heise dichiara che completare una vendita non è necessariamente lo scopo ultimo di un annuncio nativo. “La maggior parte del marketing è relativo all’esposizione ripetuta e condizionata associando una esperienza ad un marchio,” dice.
La pubblicità nativa ha il vantaggio di adattarsi all’ambiente circostante. Heise dice che un annuncio relativo alla moda inserito all’interno di Vogue potrebbe essere considerato pubblicità nativa. Anche nel turismo la pubblicità nativa è presente e dovrebbe far parte delle strategie di web marketing turistico per hotel e strutture ricettive. La formazione in questo ambito è molto importante perchè la pubblicità nativa rappresenta indubbiamente il futuro del marketing per hotel ed anche per le altre tipologie di strutture turistico-ricettive. Ai titolari e manager degli hotel è consigliabile rimanere aggiornati al riguardo iscrivendosi ad un corso sul web marketing turistico in modo da poter restare aggiornati sulle ultime novità del settore legato al marketing ed alla promozione turistica sul web.
Felix Salmon della Reuters ha scritto di recente:
Un annuncio nativo è qualcosa che i consumatori leggono, e con il quale interagiscono. La pubblicità nativa riesce a catturare l’attenzione in maniera molto importante, a differenza dei tradizionali banner. Gli spot in TV sono veramente da inserire nella categoria della Native Advertising, in quanto il modo in cui si consuma una pubblicità in TV è pari al modo in cui si consumano gli spettacoli televisivi. Per quanto riguarda la pubblicità inserita all’interno dei periodici: nella maggior parte dei casi sono meglio dell’articolo stesso e, di conseguenza, i lettori hanno piacere ed interesse nel leggere tali pubbliredazionali.
La pubblicità nativa non è una cosa nuova, esiste da tempo e ne troviamo esempi di continuo in ogni ambito della nostra vita, online ed offline. Dire se la pubblicità nativa sia buona o cattiva non spetta a noi: possiamo dichiarare sicuramente che è una forma di avertising molto invasiva che cattura totalmente l’attenzione del lettore.