Lo IAB ha creato una task force per studiare il Native Advertising, riconoscendo l’importanza della pubblicità nativa sui vari media. Tenuto a battesimo sulle colonne dell’Harvard Business Review, questa forma di pubblicità è caratterizzata dal coinvolgimento del lettore grazie alla presenza del messaggio pubblicitario dentro il contenuto editoriale. Obiettivo della pubblicità nativa è raccontare un servizio e un prodotto valorizzandone gli aspetti all’interno di una piattaforma in cui il formato risulti altamente impattante senza distrarre il consumatore. Gli annunci pubblicitari diventano essi stessi dei veri e propri contenuti, perfettamente armonizzati all’interno del contenitore costruito ad hoc (ad esempio il sito web o il periodico). Il vero obiettivo dalla Native Advertising è quello di aumentare il tasso di engagement, vista la sempre più pressante banner blindness.
Michael Kassan, il Ceo di MediaLink, ha scritto un pezzo molto interessante su MediaBizBlogger ed ha indicato come esempio ideale di Native Advertising un numero della celebre rivista Vogue. In tale numero preso ad esempio, oltre 600 pagine sono pubblicitarie ma tali contenuti non distraggono il pubblico di riferimento che acquista la rivista ben sapendo cosa troverà tra le pagine.
La sfida per gli esperti ed i consulenti di marketing è proprio quella di riuscire ad attivare questa attenzione verso nuove modalità di advertising, in modo da integrare queste nuove forme pubblicitarie all’interno di contenuti e contesti capace di valorizarli adeguatamente, con l’obiettivo finale di mantenere sempre alta l’attenzione dei lettori, in modo da raggiungere il target di riferimento della comunicazione pubblicitaria senza distrazioni eccessive.
Ogni piattaforma (digitale o no) si presta a una differente pubblicità nativa per sua stessa definizione, questi messaggi promozionali riescono a realizzare un tutt’uno con il contesto in cui sono organizzati. L’esempio classico e più noto sono i tweet promozionali di Twitter o i post sponsorizzati di Facebook, che vengono inclusi nel contenuto all’interno dello stream di notizie da parte di amici e follower. Il messaggio più efficace è quello che arriva senza nessun tipo di interruzione al suo destinatario. Oggi i consumatori sono esposti a continui messaggi pubblicitari ed il target è sempre più frammenteto nei differenti cluster di consumatori, quindi riuscire a mantenere la comunicazione originale dall’azienda verso il possibile cliente è un’impresa sempre più difficile.
“Un annuncio nativo riempie lo spazio d’attenzione dei consumatori per un tempo determinato, in maniera diversa da quello che riescono a fare i banner. Gli spot televisivi lo sono per loro stessa costruzione, vengono fruiti allo stesso modo degli show televisivi, così come lo sono gli annunci patinati di Vogue” lo definisce così Felix Salmon della Reuteurs rilanciato da Mashable. Il sito si è chiesto qualche settimana fa se i concetti legati alla “pubblicità nativa” siano solo la moda del momento (cosiddetta “buzzword”) o stia nascendo una vera e propria industria basata su tale modalità pubblicitaria.
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