Non tutte le piattaforme basate sulla pubblicità nativa funzionano alla stessa maniera. Tutto dipende dal contesto di riferimento e dal pubblico. Facebook ad esempio non ha ancora implementato la Native Advertising in maniera ottimale.
Facebook è ancora in gran parte incentrato sulle interazioni con le persone si conoscono offline, rendendo tutta la parte connessa ai messaggi di marketing particolarmente difficoltosa. Questo è particolarmente vero nel mondo mobile, dove le “Sponsored Stories” occupano una parte molto più grande dello schermo rispetto al desktop. Facebook, invece che venire incontro agli utenti nel processo di introduzione degli annunci pubblicitari molto grandi, – sono stati introdotti da un giorno all’altro – hanno pensato bene di inserire tali annunci proprio nel newsfeed, dove si concentra tutta l’attenzione dell’utente medio. Il targeting stesso del messaggio da veicolare su Facebook è fondamentalmente poco preciso: le azioni intraprese da amici lontani o con interessi diversi vengono spesso utilizzati come base per il targeting degli annunci sponsorizzati.
Per percorrere la strada della pubblicità nativa, è fondamentale comprendere che la stragrande maggioranze dei blogger “famosi” e gli altri editori online vengono pagati per la loro attività giornalistica, quindi devono stare ben attenti quando scrivono un articolo su un certo prodotto o servizio. Producendo dei contenuti troppo incentrati sul marketing rischiano di perdere tutta la loro reputazione costruita con anni di duro lavoro in quanto i lettori scapperebbero rapidamente.
Quando all’interno di un sito vi sono tanti contenuti gratuiti e di qualità non ci sono problemi nell’inserire periodicamente dei contenuti “pagati” da parte di un inserzionista. In questo modo non si perde la fiducia da parte dei lettori e si riescono a mantenere gli indici di redditività economici per il sostentamento del progetto editoriale.
Proprio come qualsiasi contenuto pubblicitario, la pubblicità nativa può diventare meno efficace con il passare del tempo se il pubblico riesce a comprendere che quello è un contenuto sponsorizzato e quindi “eliminarlo” mentalmente.
Uno studio di Forbes dimostra che più della metà dei grandi brand stanno utilizzando video personalizzati per il loro marketing. Sono favorevoli al Native Advertising quando si tratta di distribuzione dei contenuti e quando il contenuto è visivamente integrato con l’esperienza nel sito “tradizionale”.