La Native Advertising continua ad incrementare il proprio appeal da parte delle aziende e sempre più brand decidono di investire su questa forma pubblicitaria. Tra le varie piattaforme attualmente presenti in Italia ed interamente dedicate alla Native Adveristing c’è Outbrain. Oggi intervistiamo Alberto Mari, Country Manager di Outbrain Italia.
Cos’è la Native Advertising per Outbrain?
La definizione standard indica nel Native un formato che rispecchia la forma e la funzione del contenuto in cui è posizionato. Per questo riteniamo che solo le attività di content marketing si possano considerare native a tutti gli effetti: l’utente che sta fruendo di un contenuto online non ama essere interrotto da spot pubblicitari. Tuttavia se la comunicazione assume la forma del contenuto stesso e ne ha lo stesso valore funzionale (per esempio informativo, di intrattenimento, ecc.) allora diventa interessante. Solo così si riescono ad avere tassi di engagement significativi. Ciò che fa del native un formato innovativo non è semplicemente la posizione vicino al contenuto o il fatto che ne assuma l’aspetto grafico. Queste sono caratteristiche accessorie che, da sole, non sarebbero sufficienti a garantire performance interessanti e sostenibili nel tempo. Quello che l’audience cerca nella comunicazione dei brand è un valore in sé. Sia che si tratti di valore informativo, sia che il contenuto abbia un valore di intrattenimento, tuttavia per l’utente deve valere il tempo necessario per fruirne. Altrimenti dedicherà il proprio tempo a qualcos’altro.
Siete tra le prime realtà ad aver introdotto progetti di Native Advertising. Come sta rispondendo il pubblico italiano a questa nuova tipologia pubblicitaria?
Il pubblico reagisce molto bene, con tassi di engagement in media molto elevati. Tuttavia l’approvazione degli utenti non è incondizionata: solo i contenuti di qualità riscuotono questo successo, mentre forme pubblicitarie mascherate da contenuto, registrano risultati decisamente inferiori. Per questa ragione in Outbrain abbiamo istituito delle linee guida editoriali molto specifiche che ogni campagna deve rispettare. Il primo cliente per Outbrain è il lettore: solamente se il lettore sarà soddisfatto, il nostro business sarà sostenibile nel tempo.
Come stanno reagendo gli inserzionisti verso questa nuova forma pubblicitaria? Ne riescono a comprendere i vantaggi?
Da quando abbiamo avviato le attività in Italia (2012) il mercato è maturato moltissimo. Inizialmente c’è stata una certa diffidenza da parte delle aziende a investire su una comunicazione che non parlasse direttamente del prodotto ma di temi più cari al lettore. D’altra parte, con il moltiplicarsi dei casi di successo e delle ricerche sia Italiane sia internazionali sul valore di questa forma di comunicazione, sempre più aziende stanno spostando budget verso il content marketing e il native advertising. Per aiutare tutti gli interlocutori a comprendere meglio i benefici di questa forma di investimento cerchiamo o creiamo occasioni di education e per questo il 10 giugno alle 10.30 avremo un nostro workshop all’interno della Social Media Week di Roma alla Casa del Cinema.
Dalle campagne di Native Advertising che avete già realizzato, come sono state le performance? Quali sono i KPI che prendete in considerazione nella valutazione delle performance?
Ogni cliente ha obiettivi specifici e in funzione di essi misura la propria attività. In generale il numero di utenti unici portati sul contenuto del cliente (e la percentuale di nuovi utenti), così come il tempo speso e le azioni compiute dopo il click. Alcuni clienti hanno inoltre realizzato studi di brand awareness per vedere l’impatto di queste attività sul percepito del brand. E hanno scoperto che lavorando con il content marketing sono riusciti a far crescere l’intenzione d’acquisto di percentuali estremamente significative.
Quali aspettative avete dalle vostre soluzioni di Native Advertising?
Sempre più aziende stanno scoprendo che il modo migliore per catturare l’attenzione dei propri clienti è quello di proporre un messaggio interessante. Non si tratta di quanto il tuo messaggio sia “urlato” (formati impattanti ma invasivi) ma di che valore possa fornire al pubblico (vale il tempo necessario per leggerlo?). E’ quello che Seth Godin ha definito “permission marketing“: solo in questo modo avremo l’attenzione spontanea del consumatore, premessa cruciale per influenzare positivamente le sue intenzioni d’acquisto. Tutto ciò è ancora più vero in ambito mobile: qui i formati pubblicitari tradizionali hanno già mostrato tutti i loro limiti. Tuttavia ormai è il medium su cui il pubblico passa la maggior parte del tempo. Esiste quindi un’opportunità straordinaria di comunicazione che può essere sfruttata solo con il formato appropriato, ovvero con il native advertising.
Come evolverà il mercato della Native Advertising nei prossimi 5 anni?
Cinque anni nel mondo digital sono un’eternità: tuttavia la maggior parte degli analisti internazionali sono concordi nell’affermare che il native advertising e il content marketing sono trend in crescita destinati a durare nel tempo. Cambieranno i toni dei messaggi, si allargheranno le basi socio-demo, ma rimarrà costante un fattore: che le aziende dovranno fornire messaggi interessanti per avere riscontri positivi dal mercato. A livello di attori, lo scenario cambierà ulteriormente: gli editori si ritaglieranno un nuovo ruolo di intermediari privilegiati tra l’azienda e il lettore, in quanto depositari della reach da un lato e dell’esperienza editoriale dall’altro. Il loro ruolo sarà tanto più importante quanto più autorevole è il loro brand, ragione per cui gli obiettivi degli editori si avvicineranno a quelli delle aziende in termini di posizionamento. Di converso ci saranno numerose aziende che si riconfigureranno come media company, avviando una vera e propria strategia editoriale. Strategico sarà il ruolo delle content agencies, che dovranno supportare le aziende in questo percorso. Si diffonderanno sempre più le figure professionali dedicate ai contenuti e alla loro diffusione, bilanciando parzialmente la perdita di professionalità che la gratuità dell’informazione online ha prodotto negli ultimi 15 anni.